Pregrediremo, certo

confessioni di un’ex efficientista/

Efficientista è chi agisce con eccessivo efficientismo, intento a mostrare, rivelare, simulare un’efficienza che in realtà non si possiede. Così recita Treccani.

E dunque, ho trascorso molta parte della vita in nome di questo ideale: l’efficientismo.

Non sono nata, efficientista, non è una dote naturale. Nessuno ci nasce, credo. Ho avuto vent’anni, però, nel tempo in cui il liberismo avanzava brado, occupando tutti i vuoti che stava lasciando la penitente ideologia del comunismo all’occidentale.

Un tempo in cui essere efficienti – che in origine significava essere nella pienezza delle proprie capacità – prendeva una direzione economico-finanziaria: efficienza come massima capacità produttiva a costi minori possibili.

Come molti (la maggioranza?) sono scivolata dalla prima alla seconda definizione senza accorgermene.

Ricordo che il mio primo lavoro post laurea, conquistato dopo aver vinto una borsa di studio, fu in una multinazionale americana: negli anni Ottanta era molto, molto figo entrare in un’azienda internazionale, tanto quanto avere una borsa o un’auto o un abito o qualcosa di griffato.

Ora, siccome non sono mai stata sensibile alle griffe – non solo per una questione di disponibilità economica, tanto che anche quando ho potuto non ho comprato oggetti firmati; proprio non mi affascinano forse per una specie di repulsione “di classe” – insomma, data questa mia noncuranza alle mode, non ero quindi neppure gratificata dal fatto di essere in una multinazionale percepita come molto figa. Non sgomitai per avere quel posto. Per nulla. Arrivò.

La mia attrazione fatale era un’altra: volevo uscire dalla casa di famiglia, diventare indipendente economicamente che quello, sì, sentivo e capivo, mi avrebbe davvero reso autonoma. Non so se libera, ma autonoma.

Ed è per questo che diventai efficientista.

Il processo è stato infìdo, silenzioso, ambiguo, scaltro, lusinghiero, incantatore, penetrante, pieno di stelline, pajette, ostriche, martini cocktail, tanti “cara e caro” e “tesoro” detti e ascoltati a vanvera. È stato inebriante, talvolta: ce la stavo facendo a esprimere la mie piene capacità.

Stavo sviluppando quello che il tempo del liberismo selvaggio, del neoliberismo, stava coltivando e insinuando in ciascuno di noi: fare di se stesso, delle proprie qualità fisiche e intellettuali, il centro esclusivo e preminente del proprio interesse e l’oggetto di una compiaciuta ammirazione perché più eri efficiente, più potevi pensare di esaudire  desideri, necessità, obiettivi perlopiù materiali, più saresti stato funzionale al sistema produttivo, più potrai ottenere per te e i  tuoi cari, e così contribuirai a far crescere l’intera società. Progrediremo anche grazie al tuo impegno.

Progrediremo. Certo. (continua)